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il grande giardino sul lato nord
il bagno comune al piano interrato
attività domestiche di fronte alla lobby
graffiti
giovane donna
bambini
alcune persone non amano essere fotograf
vita quotidiana lungo un corridoio del s
una donna macina il grano nel corridoio
ragazzo coin coltello fa la guardia dava
un ragazzo
la scala monumentale di fronte alla lobb
panni stesi ad asciugare  al sole
preparazione del cibo su un fuoco di for
madre con figli guardano il mare  dalla
la terrazza al primo piano e il corpo di
la scala vicino alla lobby
la scala tra il il primo ed il secondo p
il portico sulla terrazza giardino
la grande  piazza antistante il Grande H
ill portico  d'ingresso
la lobby principale

MONOLYTO n° 18 - febbraio 2021 -  Grande Hotel Beira -  la miseria nel lusso

size: 21,6 x 21,6 cm. - 22 photos b&n - 26 pages - Monolyto Edizoini  - february 2021

- code: ISBN 979-8599104599

GRANDE HOTEL BEIRA: LA MISERIA NEL LUSSO

 

Provate a chiudere gli occhi, ora che siete appena entrati. Immaginate un luogo a 7.700 chilometri da qui, lungo la costa sudorientale dell'Africa. Riapriteli e aggirandovi per queste sale vi ritroverete a Beira, Mozambico, affacciati sull'oceano Indiano, di fronte al Madagascar. Siete in uno dei crocevia per l'Oriente. Sole, caldo e miseria tra le ricchezze smisurate di una terra tutta di proprietà dello Stato. Siete nel Paese con la maggior crescita economica al mondo: 23 milioni di abitanti che corrono verso la conquista di un benessere che molti di loro forse ancora non riescono nemmeno a immaginare.

 

Per noi invece è più facile lavorare di fantasia e immaginare un gigantesco albergo degli Anni Cinquanta. Grande Hotel Beira. Eccolo. Costruito all'insegna del lusso, modellato sulla base delle tendenze Art Deco dell'epoca su progetto di due architetti portoghesi, nasce anche con lo scopo di dare lustro nel Continente Nero al regime di Salazar. Piaceva a molti coloni bianchi il Grande Hotel dei portoghesi: era considerato uno dei luoghi più esclusivi di tutta l'Africa meridionale. Piaceva soprattutto ai turisti bianchi della Rhodesia (ora Zimbabwe) e del Sudafrica. Ma mantenere tanto  lusso in un paese depresso come il Mozambico era così improbabile che i proprietari dopo appena nove anni di attività, nel 1963, sono costretti a chiudere.

Da allora l'albergo segue in parallelo le sorti del Paese. Durante la guerra d'indipendenza dal Portogallo, il Beira viene trasformato in quartiere militare dalle formazioni che combattevano contro le truppe coloniali di Lisbona. I sotterranei diventano prigioni, le stanze dell'albergo sono assegnate alle famiglie dei patrioti.

Ma ottenuta l'indipendenza, la guerra non finisce: fazioni avverse si contendono il controllo del Paese per altri vent'anni, fino al 1991.

Il Grande Hotel rimane a lungo una specie di pozzo di San Patrizio per molti miserabili che riescono a trarre sostentamento dalla vendita degli arredi e degli altri oggetti di pregio che decoravano l'albergo o ne garantivano il funzionamento. Viene smontato e venduto tutto e alla fine resterà soltanto un gigante scheletrito affacciato sull'Oceano.

L'hotel oggi è di proprietà della Città di Beira. Dentro l'albergo la proprietà invece è del più forte, anche se non c'è niente da possedere, da spartire, da contendere. Tra questi intrecci di scale auliche e colonne di cemento armato trova rifugio una comunità di uomini, donne e bambini - tra le 2.500 e le 6.000 persone - che vivono di piccoli espedienti e criminalità, che convivono rispettando regole non scritte e molto lontane dai concetti di legalità e giustizia. Dicono che questa sia la più grande comunità al mondo di squatter. Dicono che entrare qui senza presentazione significhi voler mettere a repentaglio il bene più prezioso, la vita, che però lì dentro vale molto meno di quanto noi siamo abituati a credere.

 

Ma continuate a tenere gli occhi aperti e seguite il percorso indicato scatto dopo scatto dalle immagini di quell'inferno, raffigurato da Luca Forno con un crudo bianconero che non lascia ampi margini di interpretazione. La vita in quel luogo senza acqua corrente e senza energia elettrica è fatta di niente, eppure c'è. Cresce tra le linee architettoniche esuberanti nate per accogliere  un inutile lusso e che ora delimitano soltanto i confini della sopravvivenza. Cercate la speranza negli sguardi dei bambini e delle donne: la troverete spesso. Cercatela anche nella diffidenza o nell'indifferenza degli uomini che scorrono davanti all'obiettivo di Forno. Forse la troverete anche lì, in attesa del balzo che quell'umanità deve ancora compiere all'ombra di una bandiera, quella del Mozambico, unica al mondo a prevedere un kalashnikov accanto a una zappa.

 

Roberto Orlando - Torino

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