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CONFESSIONI -  Luca Forno incontra Sant'Agostino

size: 15,0 x 21,0 cm. - 30 photos  b&n -  2 x 30 = 60 pages as "leporello"  - Arsenale Editrice - Verona - march 2015 - code: ISBN 978-88-7743-402-9 


LE SCUTURE DEL MUSEO DI SANT'AGOSTINO ALLA LUCE DELLA FOTOGRAFIA DI LUCA FORNO 

Come si guarda una scultura? La domanda è meno banale di quanto sembra. Ed è proprio la fotografia a farne una questione saliente, già dal suo stesso apparire in Francia nel lontano 1839: in virtù della sua staticità, la scultura costituisce fin da subito un soggetto ideale per la fotografia, a causa dei lunghi tempi di posa richiesti per la sua realizzazione. Tuttavia, con la fotografia, al punto di vista individuato dall'artista se ne aggiungono diversi altri, che non sono effimeri come quelli dello spettatore il quale, volendo, può concedersi molteplici punti di vista, personalizzando la visione della scultura: il fotografo fissa per sempre queste multiple possibilità percettive, le rende immutabili e ogni volta diverse. La fotografia, insomma, non può intaccare l'essenza della scultura, è però in grado di modificare il modo in cui essa appare: il fotografo costringe lo spettatore a vedere attraverso i suoi occhi. Lo stesso fotografo, inoltre, trascende il significato storico artistico dell'opera, la scultura quale simbolo e segno del potere, religioso o temporale, e, restituendone l'aspetto plastico di forma che si sviluppa nello spazio, ci mostra di essa nuovi possibili significati.  
E' quello che ha fatto Luca Forno, fotografo di comprovata esperienza tecnica che si è confrontato con questo tema, inedito per lui, abituato a cogliere la penetrante attenzione di uno sguardo, le caratteristiche dei luoghi di lavoro, le forme naturali di un paesaggio. Viste attraverso le sue fotografie, filtrate cioè dal suo personale punto di vista, alcune delle più belle statue del museo di scultura ligure di Sant'Agostino cambiano significato. 
Si guardi ad esempio il Ratto di Elena di Pierre Puget: della drammatica scena che descrive con enfasi barocca il rapimento della bellissima donna troiana emerge, dall'obiettivo di Forno, il nitido intreccio delle mani dei due protagonisti, allusivo di un contatto erotico ribadito dal turgido seno della figura femminile che, sfocato sullo sfondo, sovrasta il volto del personaggio maschile.
Il Marco Aurelio, ancora del Puget, perde, così com'è fotografato, la sua ieratica aura di saggio imperatore romano per assumere le sembianze di un barbuto uomo qualunque. Anche il Papa Pio VI Braschi di Giuseppe Ceracchi si trasforma in un arguto e anonimo individuo di mezz'età. La particolare ripresa del David vincitore dello scultore cinquecentesco Guglielmo della Porta non ci consente di intuire l'eroismo del personaggio biblico, ne conserva invece la fresca fanciullezza.  
Certo, spesso, come nel caso della maggior parte di queste fotografie di Luca Forno, la sensibilità del fotografo è tale che pur nella parzialità del taglio visivo non si perde il significato più profondo della scultura, la sua originale forza comunicativa. 

Sarà perché è capolavoro assai noto del patrimonio museale ligure che Margherita di Brabante sollevata in cielo da due angeli, scolpita nel 1313-1314 da Giovanni Pisano, nel particolare del volto catturato dallo scatto di Forno sembra comunicare appieno l'estasi dell'ascesa all'empireo, ma anche nella meno conosciuta Statua di Violante Cebà Grimaldi Salvago in foggia di Annunziata, opera secentesca attribuita allo scultore genovese Filippo Parodi, dove pure il personale taglio di Forno impedisce una lettura iconografica precisa, si coglie l'espressione di innocente sorpresa mista a sgomento di colei cui viene comunicato di essere stata scelta quale madre di Dio.
Non sembrerà allora inopportuno ricordare, a conclusione di queste
brevi note, che - come riporta Erika Billeter, nel suo fondamentale catalogo Skulptur im Licht der Fotografie (Scultura alla luce della fotografia, 1998) - la grande fotografa Gisèle Freund al momento di scegliere le foto realizzate per il libro Il museo immaginario della scultura mondiale (1952-1954) di André Malraux dovette ammettere che ogni scultura è in fondo composta da più sculture differenti. Alla luce della fotografia, appunto.

Leo Lecci , Genova 2015

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